Cosa può e deve crescere: ovvero, come utilizzare la spesa pubblica


di Diego Barsotti

Nel presentare ai propri lettori come sarà il 2012, l’economista statunitense Joseph Stiglitz su Repubblica la prende parecchio larga ma poi arriva al nocciolo del problema, affrontandolo anche con una certa dose di fiducia e ottimismo, senza i quali è davvero difficile oggi muoversi nel panorama politico economico mondiale. Si parte però da un’analisi del 2011 che a scanso di equivoci, secondo Stiglitz, sarà ricordato come l’anno in cui «molti americani ottimisti a oltranza hanno iniziato a rinunciare alla speranza», questo perché le indennità di disoccupazione di chi ha perso il lavoro nel 2008 e nel 2009 sono ormai state spese e così come la gran parte delle persone di mezza età si è resa conto che lo stato di disoccupazione non sarebbe durato qualche mese bensì difficilmente rientreranno nel mondo del lavoro. E come ricordava anche Stefano Zamagni nel suo intervento di ieri a Livorno, invitato dall’associazione IdeaLi a parlare di “Beni relazionali e felicità pubblica: uno sguardo all’economia civile”, «un cittadino che non ha più fiducia nel futuro, non è felice e se non è felice non ha neppure voglia di migliorare e di innovarsi e questo significa annichilire un Paese». Proprio la perdita di capacità relazionale è il sintomo più grave della crisi sociale che ha accompagnato la crisi economica e la crisi ambientale in questa fine di decennio.

Ecco dunque ben esplicitata una delle cose che possono e devono crescere e su cui i governi non solo europei dovrebbero puntare in questa fase due a cui si chiedono politiche di rilancio e di indirizzo dopo la fase dell’austerity. Non si tratta soltanto di impegni vaghi verso concetti solo apparentemente vaghi, come appunto le ‘capacità relazionali’, che gli economisti civici definiscono ‘diritti di gratuità’ ed alcuni socio ambientalisti chiamano infine ‘beni comuni’, ma che ben si inseriscono anche in quel concetto di sistema che obbliga alla cooperazione, senza la quale non può esserci competizione orientata alla sostenibilità: perché l’enorme potenziale di indirizzo che ha la spesa pubblica costituisce un’opportunità da non perdere per investire in queste risorse culturali – qualsiasi nome vogliamo dar loro – che non trovano spazio tra i parametri del Pil.

E non a caso Zamagni ieri ha ricordato proprio il lavoro di Stiglitz sul fronte del superamento del Pil – su incarico di Sarkozy – tracciando la strada su cui lavora oggi in Italia la commissione guidata dal presidente dell’Istat Giovannini: è lo stesso Stiglitz che sembra rispondergli oggi sulle pagine di Repubblica, affermando appunto che il 2012 deve comunque essere affrontato con ottimismo perché «La buona notizia è che se si affrontassero i problemi a lungo termine di fatto si contribuirebbe a risolvere i problemi sul breve periodo. Un aumento degli investimenti per dotare l´economia di ciò che serve ad affrontare in modo moderno il riscaldamento globale servirebbe a stimolare l´attività e la crescita economica nonché la creazione di posti di lavoro».

La spesa pubblica che dunque indirizza l’economia verso uno sviluppo economico e ambientale sostenibile, ma che contribuisce anche a uno sviluppo sociale sostenibile, perché «una imposizione fiscale più graduale, tale da ridistribuire i redditi dal vertice al centro e al fondo della piramide sociale, a uno stesso tempo ridurrebbe le ineguaglianze e aumenterebbe l´occupazione alimentando la domanda complessiva. Tasse più alte per i più ricchi genererebbero introiti per finanziare gli investimenti pubblici e fornirebbero tutele sociali per quelli più in basso, compresi i disoccupati».

Pur senza allargare il deficit fiscale, dunque, questi aumenti “per il pareggio di bilancio” nei regimi fiscali e nella spesa pubblica ridurrebbero secondo Stiglitz la disoccupazione e aumenterebbero la produzione. Il timore, tuttavia (e qui finisce l’acqua contenuta nel mezzo bicchiere) «è che su entrambe le sponde dell´Atlantico ma soprattutto negli Stati Uniti – conclude Stiglitz – i politici e l´ideologia non permettano a niente di tutto questo di accadere. Fissarsi sul deficit provocherà pesanti tagli alla spesa sociale, con un inevitabile peggioramento delle sperequazioni».

da greenreport.it

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